di Luca M. Possati
Ripresa e caduta libera, entusiasmo e disperazione. La prima impressione che emerge dalle inversioni di tendenza delle borse registrate nelle ultime settimane è che la crisi durerà a lungo. E non sarà facile trovare una soluzione capace di limitare le perdite, di dare una stabilità ai mercati. Le misure concordate dai Governi - non sempre in maniera tempestiva - hanno avuto finora soltanto un effetto palliativo; necessario, è vero, importante, perché l'attuale crisi è anche una crisi della capitalizzazione bancaria, ma temporaneo. L'intervento dello Stato è una medicina necessaria per un malato non moribondo. Il punto è controllare che questa medicina non superi i livelli al di là dei quali essa possa rivelarsi letale. Occorre agire più in profondità nel sistema, ricucire il rapporto tra economia, finanza e politica, ricreare vera fiducia tra gli istituti bancari e responsabilità negli operatori.
Ridisegnare il sistema delle regole. Insomma, una nuova Bretton Woods. Questa sembra essere l'urgenza primaria avanzata da tutti i principali analisti, nonché da molti capi di Stato, secondo ricette diverse. "Occorre riscrivere le regole dei mercati", ha annunciato il premier britannico Gordon Brown. Sarkozy ha chiesto un Governo europeo dell'Economia. Gli Stati Uniti, ancora scettici sull'ipotesi di una grande agenzia di vigilanza mondiale, hanno detto sì alla proposta dell'Ue di un nuovo vertice g8, allargato alle economie emergenti. L'obiettivo comune è una nuova architettura finanziaria da costruire sulle macerie di quella implosa, magari con una forte impronta europea.
Ma, nel concreto, in che modo operare? Stabilire nuove norme può risolvere qualcosa? In realtà, al di là della meccanica della crisi, che ormai conosciamo benissimo, dobbiamo ancora capire bene che cosa sta accadendo. Conosciamo le radici del fenomeno, la spropositata crescita del debito negli Stati Uniti e in Europa, l'aumento dei rischi di insolvenza, al quale gli istituti hanno risposto con eccessive cartolarizzazioni, ossia scegliendo di non eliminare il rischio ma di farlo fruttificare passandolo ad altri. Non sappiamo però spiegare la reazione a catena che ne è seguita né per quanto ancora durerà. Senza tenere conto di un altro elemento che sta emergendo - non irrilevante, ma poco considerato dagli analisti - e cioè che siamo di fronte anche a una crisi del capitalismo di Stato, dell'idea di un intervento pubblico nell'economia. Com'è stato possibile che da una scintilla relativamente circoscritta - i mutui subprime - sia scaturita un'epidemia sistemica di queste proporzioni? L'unica causa è stata la mancanza dei controlli?
Sul banco degli imputati, l'iperliberismo, la deregolazione selvaggia. Ma, in realtà, non c'è mai stato un sistema senza regole, anzi. Questo è il vero paradosso. Come hanno dimostrato numerosi analisti - anche critici nei confronti del neoliberismo - le innovazioni regolamentari degli ultimi anni non hanno dato affatto briglia sciolta ai mercati, ma hanno risposto generalmente a criteri di innovazione, spesso volti a eliminare privilegi e costrizioni inutili. Non va dimenticato inoltre che le autorità finanziarie, anche se si sono indebolite nel tempo, non hanno mai giocato il ruolo di semplici spettatori passivi. Alla deregolazione è corrisposta sempre una nuova regolazione in materia di vigilanza, prevenzione del rischio, trasparenza nei confronti del mercato e dei clienti.
Le regole ci sono e ci sono anche coloro che le applicano. Il problema è che nel tempo si sono aperte - o sono state lasciate aperte dai Governi - lacune, interstizi nei quali si sono infiltrati gli speculatori, alimentando la ricerca del profitto sfrenato, l'illusione della corsa al Roe (Return on Equity). Il vero rischio - già paventato dal capo economista del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard - è che nella fretta di risolvere gli attuali problemi si adottino regole peggiori delle precedenti. Se le cose stanno così, sembra essere più auspicabile la strada degli interventi mirati.
Al momento l'idea più interessante è quella di istituire un'entità autonoma e sovranazionale per il rating, il "voto" di un titolo di credito dall'obbligazione all'azione, in genere misurato con le prime lettere dell'alfabeto accompagnate dai segni + o -. Nel concreto, questo significa il superamento del sistema di norme definito "Basilea 2" che regola il rapporto tra il rischio che le banche si assumono, concedendo prestiti alle aziende, e le garanzie che queste ultime danno. Un progetto sponsorizzato anzitutto da Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia, nonché presidente del Financial Stability Forum, secondo il quale "Basilea 2 non è morta, ma certamente ha bisogno di essere rivisitata in altra forma". La debolezza principale del sistema sta nel fatto che aggrava la situazione di chi già sta male e, inoltre, che esso risulta spesso viziato da conflitti di interesse che agiscono nelle agenzie di rating su cui il sistema stesso si fonda.
(©L'Osservatore Romano - 25 ottobre 2008)
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