mercoledì 29 maggio 2013

UNA CROCE AL MANFREI

AIUTACI A RICORDARE L'ECCIDIO PERPETRATO NEI CONFRONTI DI 201 MARO' A GUERRA FINITA AIUTANDO LA ONLUS "CROCE AL MANFREI" INDICANDO NELLA TUA DENUNCIA DEI REDDITI NELLA CASELLA DESTINATA AL CINQUE PER MILLE IL CODICE FISCALE : 92070010092. GRAZIE!

giovedì 23 maggio 2013

RIBELLE E' CHI RIFIUTA DI STRISCIARE di Dominique Venner - 05/07/2012

Fonte: Diorama Letterario [scheda fonte] Che cos’è un ribelle? Ribelli si nasce o si diventa a seconda delle circostanze? Ci sono diversi tipi di ribelli? Dominique Venner. Si può essere intellettualmente indipendenti, ai margini del gregge, senza per questo essere un ribelle. Paul Morand ne è un buon esempio. Da giovane, era stato uno spirito libero, niente di più, e un favorito dalla fortuna, nei due sensi del termine. I suoi romanzi semplici avevano favorito il suo successo. Niente di ribelle e nemmeno di insolente a quell’epoca. Ciò che ha fatto di lui l’indipendente rivelato dal suo Diario è stato l’aver fatto involontariamente la scelta dei futuri perdenti tra il 1940 e il 1944 e l’aver persistito poi nelle sue repulsioni, l’essersi sentito uno straniero. Un altro esempio molto differente è quello di Ernst Jünger. Benché sia autore di unTrattato del ribelle molto influenzato dalle inquietudini della guerra fredda, Jünger non fu mai un ribelle. Nazionalista all’epoca del nazionalismo, in urto con il III Reich come buona parte della buona società, legato durante la guerra ai futuri cospiratori del 20 luglio 1944, non ha mai approvato il principio dell’attentato contro Hitler. Ciò per ragioni di ordine etico. Il suo itinerario più o meno ai margini delle mode è molto esattamente quello dell’anarca, figura di cui fu l’inventore e la perfetta incarnazione dopo il 1932. L’anarca non è un ribelle. È uno spettatore appollaiato a una tale altezza che il fango non può raggiungerlo. Al contrario di Morand o di Jünger, in seno alla generazione precedente, il poeta irlandese Padrig Pearse fu un autentico ribelle. Si può dire che lo fu per nascita. Bambino, aveva imparato le gesta dei combattenti di tutte le rivolte dell’Irlanda. Più tardi, cominciò ad associare il risveglio della lingua gaelica alla preparazione dell’insurrezione armata. Membro fondatore della prima IRA, fu il vero capo dell’insurrezione della Pasqua del 1916 a Dublino. Per questo motivo venne fucilato. Morì senza sapere che il suo sacrificio sarebbe diventato il lievito che avrebbe fatto trionfare la sua causa. Quarto esempio ancora differente, Aleksandr Solženicyn. Fino al suo arresto, nel 1945, era stato un eccellente sovietico, che si poneva poche domande su un sistema nel quale era nato, e che compiva durante la guerra il suo dovere di ufficiale riservista dell’Armata rossa senza problemi di coscienza. Il suo arresto, la scoperta del Gulag, dell’orrore accumulato dal 1917, provocarono una totale rimessa in discussione, tanto di se stesso quanto del mondo nel quale aveva vissuto fino a quel momento alla cieca. Fu allora che divenne un ribelle, anche rispetto alle società mercantili, distruttrici di ogni tradizione e di ogni vita superiore. Le ragioni di un Pearse non sono quelle di un Solženicyn, il quale ha avuto bisogno dello shock di un avvenimento seguito da un eroico sforzo interiore per diventare un ribelle. Ciò che hanno in comune, è di aver scoperto per vie differenti una incompatibilità assoluta tra il loro essere e il mondo nel quale dovevano vivere. Questa è la prima caratteristica che definisce il ribelle. La seconda è il rifiuto della fatalità. Che differenza c’è tra la ribellione, la rivolta, la dissidenza e la resistenza? D.V. La rivolta è un movimento spontaneo, provocato da una violenza ingiusta, un’ignominia, uno scandalo. Figlia dell’indignazione, è raramente durevole. La dissidenza, come l’eresia, è il fatto di separarsi da una comunità, sia essa politica, sociale, religiosa o filosofica. I suoi motivi possono essere legati al caso. Essa non implica l’inizio di una lotta. Quanto alla resistenza, al di là del senso mitico acquisito durante la guerra, significa che ci si oppone, e niente di più, a una forza o a un sistema, anche passivamente. Essere ribelli è tutt’altra cosa. Rispetto a che cosa un «ribelle» è essenzialmente… ribelle? D.V. È ribelle a ciò che gli sembra illegittimo, all’impostura o al sacrilegio. Il ribelle è legge per se stesso. Ciò fonda la sua specificità. La sua seconda caratteristica è la volontà di iniziare la lotta, anche senza speranza. Se combatte una potenza, è perché ne rifiuta la legittimità, ed aspira a un’altra legittimità, nella fattispecie a quella dell’anima o dello spirito. Quali modelli di «ribelli» offrirebbe, scegliendoli nella storia e nella letteratura? D.V. Di primo acchito, penso all’Antigone di Sofocle. Con lei, siamo nello spazio della legittimità sacra. Antigone è ribelle per fedeltà. Sfida il decreto di Creonte per rispetto della tradizione e del comandamento divino – la sepoltura dei morti – trasgredito dal re. Poco importa che Creonte abbia le sue ragioni. Il loro prezzo è un sacrilegio. Antigone crede dunque di essere legittimata nella sua ribellione. Per invocare altri esempi, ho solo l’imbarazzo della scelta. Durante la guerra di secessione americana, gli yankees designarono i loro avversari sudisti con il nome di ribelli, rebs. Era della buona propaganda, ma falsa. La Costituzione degli Stati Uniti riconosceva, infatti, agli Stati membri il diritto di secessione. E le forme costituzionali erano state rispettate dagli Stati del Sud. Il generale Robert Lee, un virginiano, futuro comandante in capo degli eserciti confederati, non si considerava un ribelle. Dopo la sua resa, nell’aprile del 1865, si sforzò di riconciliare il Sud con il Nord. In quel momento insorsero i veri ribelli, donne e uomini che, dopo la sconfitta, continuarono la lotta contro l’occupazione del Sud da parte degli eserciti nordisti e dei loro protetti. Alcuni, come Jesse James, cascarono nel banditismo. Altri trasmisero ai loro figli una tradizione che ebbe una grande posterità letteraria. LeggendoGli invitti, il più bel romanzo di William Faulkner, si scopre, ad esempio, l’affascinante ritratto di una giovane ribelle, Drusilla, sempre certa del suo buon diritto e dell’illegittimità dei vincitori. Come si può essere ribelli oggi? D.V. Mi chiedo soprattutto come si possa non esserlo! Esistere, significa combattere ciò che mi nega. Essere ribelli non è collezionare libri empi, sognare fantasmagorici complotti o la resistenza partigiana nelle Cevenne. Significa essere norma per se stessi. E attenervisi, a qualunque costo. Badare a non guarire mai dalla propria giovinezza. Preferire inimicarsi il mondo intero, piuttosto che strisciare. Praticare anche, come un corsaro e senza vergogna, il diritto di preda. Saccheggiare nell’epoca tutto ciò che è possibile convertire alla propria norma, senza fermarsi alle apparenze. Nella sconfitta, non porsi mai il problema dell’inutilità di un combattimento perduto. Si pensi a Padrig Pearse. Ho ricordato Solženicyn che incarnò la spada magica di cui parla Jünger, «la spada magica che fa impallidire la potenza dei tiranni». In questo, egli è unico e inimitabile. Eppure, era debitore a persone meno grandi di lui. E ciò incita a riflettere. In Arcipelago Gulag, ha narrato le circostanze della sua «rivelazione». Nel 1945, c’era una decina di detenuti nella stessa cella della prigione di Butyrki, a Mosca, volti smunti e corpi abbandonati. Tra i detenuti, uno solo era differente. Era una ex guardia bianca, il colonnello Constantin Iassevic. Si voleva fargli pagare il suo impegno nella guerra civile, nel 1919. E Solženicyn dice che il colonnello, senza parlare del suo passato, mostrava con tutto il suo atteggiamento che per lui la lotta non era finita. Mentre nella mente degli altri detenuti regnava il caos, egli aveva visibilmente un punto di vista chiaro e netto sul mondo che lo circondava. La nettezza della sua posizione dava al suo corpo, malgrado l’età, solidità, scioltezza, energia. Era l’unico a spruzzarsi con acqua fredda ogni mattina, mentre gli altri detenuti marcivano nella loro sporcizia e si lamentavano. Un anno dopo, trasferito di nuovo nella stessa prigione di Mosca, Solženicyn venne a sapere che l’ex colonnello bianco era stato appena giustiziato. «Dunque, era questo che vedeva attraverso i muri, con i suoi occhi rimasti giovani […] Ma l’incoercibile sensazione di essere rimasto fedele alla via che si era tracciata gli conferiva una forza poco comune». Meditando su questo episodio, mi dico che, non riuscendo ad immaginare di poter mai diventare un altro Solženicyn, ognuno di noi può quantomeno essere l’immagine del vecchio colonnello bianco. Dominique Venner, autore di Le cœur rebelle, intervista ripresa dal numero 308 di Diorama, con traduzione di Giuseppe Giaccio.

SUICIDIO VENNER - Comunicato di Casa Pound

Suicidio Venner, CasaPound: basta banalizzazioni, lui come Mishima e Palach Roma, 22 mag - “Il modo in cui la stampa italiana sta raccontando l'estremo sacrificio di Dominique Venner testimonia una volta di più il provincialismo culturale del nostro paese. Si è voluto trasformare uno spirito eroico della genia dei Mishima e dei Palach in un banale caso di omofobia patologica, segno che le motivazioni di questo gesto sono state totalmente misconosciute”. Così CasaPound Italia commenta il suicidio dello scrittore francese avvenuto ieri nella cattedrale di Notre-Dame. “Venner – prosegue la nota – era sì un oppositore di una legge irresponsabile, che fa molto di più che regolarizzare fenomeni in atto, ma è del tutto superficiale e riduttivo fare di lui un mero 'attivista anti-gay', come è stato scritto. La sua lettera d'addio è priva del benché minimo accento d'odio o di risentimento, ma rappresenta anzi un testamento spirituale colmo d'amore per la Francia e per l'Europa. Ciò che Venner voleva combattere era molto di più che una legge, era il suicidio quotidiano di una civiltà ormai incapace di prendere in mano il proprio destino. Il suo gesto va misurato sulla scala degli esempi fuori dal tempo, non su quella della contingenza politica”. Lo scrittore francese, prosegue Cpi, “è stato un modernizzatore lucido della destra francese ed europea: ha parlato di organizzazione agli spontaneisti, di scienza agli spiritualisti, di Europa ai nazionalisti. La sua produzione storiografica è stata torrenziale, il suo contributo a movimenti come quello della Nouvelle Droite essenziale. Per tutti questi motivi, Venner merita di essere ricordato secondo il rango che gli era proprio anziché essere confuso con quelle forme di attivismo paranoide e puritano di matrice essenzialmente statunitense. In un mondo abitato da individui che sacrificano l'interesse collettivo per salvare se stessi, Venner ha voluto sacrificare se stesso per salvare il suo popolo. Alla sua memoria va il pensiero commosso di tutta la comunità di CasaPound Italia”.

domenica 19 maggio 2013

Il Quirinale ci costa di più della Casa Bianca

Tratto dalla rete : "Siamo la Gente" blog della gente che protesta. Il Quirinale costa il doppio dell’Eliseo: le spese pazze di Napolitano Incredibile ma vero: il Quirinale spende più della Casa Bianca e dell’Eliseo. Questo l’amaro verdetto a cui si giunge dopo che la Presidenza della Repubblica ha pubblicato voce per voce le sue spese. I NUMERI DEL QUIRINALE E LE SUE SPESE PAZZE Il Quirinale riceve ogni anno 228 milioni di euro dal Ministero del Tesoro per le proprie spese. Mai era accaduto finora ma il primo dato choccante è che a Napolitano tutto questo denaro non basta per sostenere le sue spese e quelle del suo staff. Ne spende invece 243,6 milioni di euro con uno sforamento di quasi sedici milioni di euro che pesano sui ricavi dello stesso Palazzo. Che il Quirinale fosse un’azienda in pochi lo sapevano. Questi i suoi incassi che vanno direttamente nelle casse di Napolitano per pagare non soltanto i dipendenti ma anche alcuni sfizi di cui non sa fare a meno. Tutti nelle sue tasche i 90mila euro l’anno incassati per gli ingressi, gli altri 60 mila euro per la vendita di pubblicazioni e i 40 mila euro come proventi dalle formazioni arboree di Castelporziano. Altri 200 mila euro vengono incassati da proventi in attività zootecniche della tenuta di Castelporziano e infine ancora 40 mila dalla vendita esemplari fauna selvatica della stessa tenuta. In tutto sono 430mila euro. E gli altri quindici milioni e mezzo di euro? Non è specificato da dove arrivino ma sono certo uno schiaffo in faccia agli italiani e alla crisi. NAPOLITANO E GLI STIPENDI MILIONARI DA PAGARE Il Quirinale nel 2012 pagava al Presidente della Repubblica 240mila euro di stipendio all’anno. Nel 2013 in piena spending review è arrivato un pugno negli occhi degli italiani: mentre migliaia di lavoratori finivano disoccupati o in cassa integrazione Giorgio Napolitano si aumentava lo stipendio di 8.835 euro l’anno passando a un totale di 248.017. Il Palazzo della presidenza della Repubblica oltre ai suoi utili però ha anche i suoi oneri. E se di utili ci sono solo 430mila euro visibili per il personale si spende 121,5 milioni di euro più 90 milioni di pensioni per 1720 dipendenti e distaccati. Ogni dipendente del Quirinali costa 70.656 euro. La domanda ora è d’obbligo. A chi verranno accollati i costi di questo personale? Anche alle altre amministrazioni pubbliche perché la metà dei dipendenti del Quirinale risultano essere militari. I consulenti del Presidente della Repubblica vengono invece pagati 2,6 milioni di euro. Per i dipendenti inoltre è prevista la spesa di 400 mila euro per il costo degli alimenti, poi ci sono i costi di pulizia delle stanze e 779 mila euro per la beneficenza. LE SPESE PRIVATE DEL QUIRINALE: 15.000 EURO PER LE PARTITE DEL CUORE Finora abbiamo snocciolato i dati delle cosiddette “spese pubbliche” del Quirinale. Oltre a queste però ci sono anche quelle private. Salta agli occhi la voce televisione. Si tratta di 15mila euro suddivise tra gli abbonati Rai e quelle di Sky. Una cifra che fa a pugni con i 407,35 euro che ogni ufficio pubblico dovrebbe pagare per ogni stabile di sua proprietà. Arrivare a quindicimila euro non è facile a meno che oltre al classico canone Rai non si decida di istallare anche l’abbonamento alla pay tv per seguire non soltanto i telegiornali che riguardano la presidenza della Repubblica ma soprattutto il calcio e le partite della squadra del cuore del Presidente e dei suoi fedeli collaboratori che dovrebbero affollare il Quirinale anche la domenica sera per vederle. Napolitano è il presidente che spende meno? Certo che no e lo andiamo a vedere subito. IL CONFRONTO CON LA FRANCIA: NAPOLITANO PEGGIO ANCHE DI SARKOZY E’ Napolitano il presidente che spende meno in tutto il mondo? Certo che no visto che il Quirinale costa circa il doppio anche dell’Eliseo. Il palazzo tacciato di essere sprecone ai tempi di Nicolas Sarkozy arrivava a spendere 115 milioni di euro l’anno. Hollande però ha dichiarato che in tempi di austerity ci sarà un taglio significativo del 4% come ha dichiarato sul quotidiano “Il Parisien”. L’obiettivo di Francois Hollande è quello di spendere 105,3 milioni di euro. Le misure di austerity verranno attivare tagliando gli acquisti delle attrezzature, sui regali che il presidente offre ai suoi ospiti, la vendita di molte auto blu.Hollande taglierà anche sui viaggi e sugli incontri privati utilizzando i videomessaggi. Il confronto col Quirinale non regge proprio perché per arrivare ai 243,6 milioni di euro di cui si parla in Italia anche la Francia di Sarkozy avrebbe impiegato due anni per spenderli. E parliamo di un governo molto criticato nel libro “L’Argent de l’Etat” del deputato socialista René Dosiere. Tra le pagine della sua opera era infatti ricordato che in Francia si spendevano quotidianamente 12mila euro per il cibo. Citati anche i 26mila euro spesi per mandare in Ucraina una squadra di medici che soccorresse il figlio di Sarkozy Pierre che mentre faceva il dj aveva accusato un malore. Rispetto a Chirac aveva raddoppiato le sue auto da 55 a 121 per un costo di 157mila euro per l’assicurazione e 433mila per il carburante. Nel mirino dei francesi anche il viaggio alle grotte di Lascaux fatto insieme alla moglie Carla Bruni al modico prezzo di “131mila euro. Ci dispiace dirlo ma le follie di Carlà nulla sono a confronto di quelle della Napolitano band. Cosa farebbero i francesi davanti allo spreco del nostro Presidente della Repubblica? Spenderebbero, gioco di parole, fiumi di inchiostro per documentarsene. E non finisce qui: perché Sarkozy che prendeva 21300 euro al mese che all’anno sarebbero 255600 euro prendeva seimila euro all’anno in più di Napolitano e Hollande che prenderà invece 14910 euro al mese che corrispondono a 178.920 all’anno. Il nuovo presidente francese percepirà quindi 60mila euro in meno di Napolitano. IL CONFRONTO CON GLI USA DI OBAMA La Casa Bianca è un’altra cosa: gestisce un territorio molto più vasto di quello italiano e deve gestire un sistema federativo da 50 Stati. Certo è che lo stipendio di Barack Obama è superiore a quello di Giorgio Napolitano. Però lì, al contrario dell’Italia, non aumenta. Nel 2009 il Presidente della Repubblica percepiva uno stipendio di 400mila dollari ora tradotto in euro è 275 mila. Solo 30 mila euro in più di Napolitano ma con molte funzioni in più da assolvere. Gli Stati Uniti restano comunque la prima potenza economica mondiale e Obama, essendo il capo di una Repubblica Federale presidenziale deve assolvere a un maggior numero di compiti rispetto a quelli di Napolitano che, come da Statuto, delega al presidente del Consiglio dei Ministri molte di quelle che negli altri Stati sono compiti del presidente della Repubblica. E gli stipendi degli altri collaboratori? Alti ma non altissimi. In 21 guadagnano 118.500 euro l’anno. Nessun compenso durante il governo Obama è stato aumentato.Calcolando solo gli stipendi più alti si arriva a vedere che negli Stati Uniti si spendono 2.488.500 euro solo per i dipendenti. Una cifra molto lontana dai 121,5 milioni di euro del Quirinale. Lavorano alla Casa Bianca 454 persone (meno di un quarto dei dipendenti del Quirinale) e lo stipendio più basso è di 41mila dollari pari a 20 mila euro. Arrivare quindi alla cifra astronomica del Quirinale è impossibile anche al Presidente americano più spendaccione. L’Italia è più austera quindi soltanto nello stipendio del Presidente. Per il resto quello costruito sul colle romano più prestigioso è uno dei palazzi più spendaccioni del mondo. Alla faccia del debito pubblico sforato a 2mila miliardi di euro e della disoccupazione che con la percentuale dell’11,2% ha raggiunto un record storico dal 1999. Ridurre la spesa ai livelli della Francia ossia 105,3 milioni di euro permetterebbe di recuperare 69150 posti di lavoro pagati duemila euro al mese, oppure 138300 pagati mille euro. Spese quindi che gridano vendetta al cospetto di Dio e contro le quali il popolo può poco: il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in Italia, quasi come un Re che si autonomina senza dover rendere conto al Popolo Italiano. Quindi: spendo come voglio, non rischio l’elezione. Questo articolo è stato pubblicato in Senza categoria da siamolagente

lunedì 13 maggio 2013

Dalla rete mi è arrivata questa breve riflessione di Piero Vassallo, che ritengo meritevole di lettura e approfondimento: Il cammino del giacobinismo italiano Oscuramento della fede, corruzione dei costumi, decadenza del potere politico Interprete urlante del Godot di Samuel Beckett, Beppe Grillo irrompe sulla scena politica italiana per proporre l'infelice rimedio attuato a suo tempo dai giacobini: l'abbattimento della classe politica. Ai grillini e ai sciolti amanti della pulizia radicale non è inutile rammentare che il giacobinismo iniziò il suo inglorioso ciclo predicando l'arcadica purezza e l'innocenta degli arcaici costumi. Nei giardini di Versailles l'infelice regina Maria Antonietta metteva in scena pecore, pastori e pastorelle a significare la dolcezza dell'umanità precivile predicata da Jean Jacques Rousseau. In seguito l'arcadia si rovesciò nelle purificazioni sanguinarie. Il ciclo si concluse col massacro bestiale della regina/pastora e delle carmelitane di Compiègne. Gli italiani conobbero la delizia giacobina allorché un esercito di cleptomani,avanzanti sotto il vessillo della fellonia, procurò la morte violenta a centomila refrattari. Occorre rammentare che il qualunque progetto di decapitazione di una classe politica dovrebbe passare per la cruna di un memorabile detto di Gustave Flaubert: "Madame Bovary sono io". Il suddito cosciente dovrebbe riconoscersi nel potere sovrano. Il giacobino aggiornato, invece, dimentica che, specialmente in regime democratico, la classe politica ha l'identità del popolo. Se Grillo avesse l'intelligenza di Flaubert e non quella di un Robespierre in sedicesimo, anziché annunciare la rivolta urlante e confusionaria, direbbe: "Bersani sono io, Vendola sono io, il malgoverno sono io ecc.". Purtroppo Grillo crede di rappresentare l'avanzante giustizia riformatrice, ossia un'astratta figura allegorica, messa in scena da lanciatori di sassi no-tav. Per fortuna l'urlato comizio di Grillo (al momento) assomiglia alla trucida/travolgente orazione di Robespierre come il fruscio d'una mal trattenuta flatulenza assomiglia all'urlo sovra umano del mitico Tarzàn. L'ottimismo intorno alla pochezza del grillismo deve essere tuttavia moderato dalla lettura di un adulante/possibilista articolo pubblicato dal cauto Galli della Loggia nel Corriere della Sera. La strizzata d'occhio al grillismo lanciata da Galli della Loggia lascia intendere che l'oligarchia, del cui pensiero è ossequioso interprete il giornalone milanese, è tentata di scommettere sulla rivoluzione a cinque stelle. Andato in avanscoperta, lo smacchiatore Bersani ha ricevuto un ceffone da Grillo. Tuttavia l'unione della sinistra dolce con l'amaro grillismo non è impossibile. Almeno nei sogni degli illuminati. La devozione al giacobinismo circola nel sangue dei sapienti, radunati nel salotto buono. E impedisce di riconoscere l'ovvia parentela degli eletti con il laicismo in devastante circolazione fra gli elettori. Un popolo appiattito sul pensiero porno/libertario predicato dagli iniziati non può non riconoscersi in una classe dirigente viziosa, ladra e supponente fino al delirio chiacchierante in televisione. In altre parole: i vizi di pensiero e di azione praticati da politici, che sono sono lo specchiato ingrandimento dei vizietti di un popolo allontanato dalla vera religione. Ad esempio gli ex-militanti nella defunta destra (e fra loro lo scrivente) dovrebbero recitare umilmente il mea culpa e ammettere onestamente: "Fini sono io, Gasparri sono io, La Russa sono io, Crosetto & Meloni sono doppiamente io". L'uscita dal circolo vizioso e malinconico a destra, pertanto, contempla la coraggiosa rinuncia alla chimera bovarista recitante "la destra sono io" o sognante la mistica unione di tutti i La Russa in corsa senza guinzaglio verso il nulla. Di qui potrebbe avere finalmente inizio un'attività culturale separata dalla chimera destra e perciò capace di contribuire efficacemente all'arduo progetto di restaurazione morale (cattolica) della patria italiana. Al proposito non è inutile rammentare che un santo umanista, Bernardino da Siena, fu l'inventore del capitalismo dal volto umano e di un progresso della nazione di segno opposto al delirio progressista. Un'efficace e seria attività politica, infatti, deve iniziare dall'affermazione della cultura di riferimento e la tradizione bernardiniana possiede le qualità richieste. Ad ogni modo è bene rammentare che la destra politica si è estinta nel triangolo a-culturale disegnato e attuato da Almirante-Plebe-Fini. A questo punto non rimane che attendere che i vescovi italiani rompano il silenzio e, archiviata l'umiliante incursione a Todi, dichiarino l'intenzione di abbandonare la vana teologia progressista, per consacrarsi unicamente all'evangelizzazione.
di Filippo Giannini Mi è capitato tra le mani un articolo de Il Riformista a firma di Ritanna Armeni, di cui riporto uno stralcio: . Di contro voglio riportare alcuni giudizi, e inizio da quello di Winston Churchill, espresso poche ore dopo aver appreso la morte dei Benito Mussolini, morte, per quanto ne so voluta e organizzata proprio dal Premier inglese; questi ha scritto: . E ancora, per dimostrare che l’espressione geografica non sempre è stata tale, ma… sì, c’è sempre un ma. Infatti: il giornalista Massimo Zamorani nel 1964 scrisse: . L’intellettuale francese Claude Ferrere osserva (e siamo al 1946 in piena paranoia antifascista): . Quali furono le cause? Ecco come lo storico Zeev Sternhell, ebreo, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La terza via fascista” (“Mulino” 1990), descrive quanto accennato: . L’autore continua a spiegare: . Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore di Scienze Politiche: . In queste ultime osservazioni possiamo intravedere le cause che portarono, da lì a pochi anni, alla “svolta” drammatica. La cosa può apparire ancora più chiara leggendo un’altra considerazione sempre di Sternhell: . La lotta politica a livello mondiale si sposta sul binomio: civiltà del lavoro e civiltà del denaro; questo asserto sarà la base che ci porterà a comprendere le cause della più grande tragedia che investì l’umanità: la Seconda Guerra Mondiale Ed è ancora una volta uno storico, Rutilio Sermonti (L’Italia nel XX Secolo), ad interpretare le cause di quella grande tragedia: . Era necessario, quindi, portare l’Italia a fianco della Germania ed eliminare in un colpo i due pericoli. Conclude Sermonti: . E con operazioni diaboliche l’intento riuscì; prima facendo coinvolgere l’Italia nell’operazione etiopica, quindi in Spagna, poi precludendo ogni possibilità di accordo con altre potenze lasciando l’unica porta aperta, quella con la Germania e, non ultime, le provocazioni sistematiche come, ad esempio, il caso di 1340 sequestri di bastimenti e navi di linea, operazione messa in atto dalla marina militare anglo-francese, tra la seconda metà del 1939 e la prima metà del 1940; vedere i due Rapporti Luca Pietromarchi, con quale intento se non quello di spingerci alla guerra? Quindi, per quanto sopra, anche se solo sommariamente accennato, in quegli anni l’Italia era tutt’altro che una Espressione Geografica. Infatti ecco un altro giudizio di un politico inglese di primissimo livello: . E guidati da un uomo simile, l’Italia poteva essere una Espressione Geografica? Poi vennero i Berlusconi, i Gianfranco Fini, i Togliatti, i Pertini, i Bersani, i Di Pietro ecc., di conseguenza non potevamo che tornare a come Metternich battezzò l’Italia: Espressione Geografica. Italiani, siete stati proprio bravi! Che botta da maestri! TORNERO’ SULL’ARGOMENTO, ma voglio terminare con una osservazione di Pietro Sella che parte dal dramma che stiamo vivendo per l’immigrazione senza controllo, dramma di questi giorni. . Se tutto ciò – e tanto, ma tanto altro ancora – fosse vero, valeva la pena di perdere la guerra per cadere in cotante mani? (Fonte newletter del 01/04/2011) Fonte: http://olo-truffa.myblog.it/archive/2011/04/04/la-ribellione-di-un-balilla.html Read more: La ribellione di un balilla http://www.metamorfosi-aliene.it/argomenti/ai-confini-della-storia/xx-secolo/123-la-ribellione-di-un-balilla.html#ixzz2TB72jEZE