di Francesco Storace
Sono stato a casa di Giano Accame e ho provato una fortissima stretta al cuore nel vederlo in quella bara, in camicia nera. Un grande uomo libero dal quale non poter più imparare nulla.
Resta nella storia della nostra cultura.
Resta di lui una splendida famiglia, una donna forte che lo ha amato per cinquant’anni, la fierezza nello sguardo di Nicolò e delle sue sorelle.
Sono stato redattore al Secolo d’Italia con la sua direzione. Un periodo di enorme formazione per me e per tanti di noi. Momenti anche di straordinario conflitto e passione, come si conviene agli spiriti liberi.
Ricordo anche il memorabile Giano dell’Hilton, autenticamente offeso dopo le incredibili conversioni di Fini a Gerusalemme. E davvero poco importa se negli ultimi tempi aveva ripreso relazioni con parti politiche da cui eravamo distanti. La libertà di questo grande intellettuale della destra non l’avrebbe potuta imprigionare nessuno.
Rispettato da tutti, sinistra compresa.
Saremo in tanti, credo, al suo funerale, domani mattina a Roma.
Glielo dobbiamo, tristi per la sua scomparsa. 81 anni vissuti appassionatamente, sciabolando di qua e di là, con la superba umiltà di chi con la parola sapeva donare cultura anche ai più umili.
No, non si vantava dei libri che aveva scritto e letto; era felice quando incrociava la fierezza.
Abbraccerà Peppe Dimitri e da lassù veglierà su tutti noi.
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