di Francesco Storace
Il dolore è enorme. Un nostro soldato che cade in missione di pace lascia attoniti e vorrei davvero abbracciare la famiglia, i suoi amici, la comunità che lo amava.
Alessandro Di Lisio entra nella galleria degli eroi della nostra Patria. Ha servito la Nazione laddove gli era stato chiesto dal Parlamento, in una missione contro il terrorismo talebano.
Tutti ci chiediamo quanto sia giusto; ma non è onorevole chiederselo di fronte al sacrificio di una vita umana. Perché uno Stato, una comunità di Stati, non ignorano i pericoli cui vanno incontro i militari in imprese di questo genere. Mi dà fastidio una certa sinistra che strilla con l’urlo della speculazione.
Altra cosa è riflettere sugli scopi della missione, se sono ancora praticabili.
Ma lo si farà – e lo farà il Parlamento – a tempo debito, e non sulla scia di una tristissima emozione.
Noi oggi piangiamo questo eroico venticinquenne che si diceva orgoglioso su Facebook di essere “troppo di destra”. Mi ha colpito quella definizione, in un soldato indica amore viscerale per l’Italia e nessuno dovrà mai dimenticarlo.
Era in Afghanistan per portare pace e ha trovato morte, la democrazia è colpita con il sangue di un nostro ragazzo. Una vita spezzata per indossare con onore una divisa. Noi non saremo mai dalla parte di chi, con infamia, urlava 10-100-1000 Nassirya.
“…i resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane. Gli ultimi superstiti sono stati raccolti esanimi e con le armi in pugno. Nessuno si è arreso; nessuno si è fatto disarmare” (El Alamein, 1942)
"Il Talebano": intervista ad Aldo La Fata
3 settimane fa
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